mercoledì 23 maggio 2007

WAYS REBUS 2

Seconda parte del racconto fanta-meneghino…

" Staziono il mio trasporter accanto al 30\29 di viale Dossi.
La cancellata in stile liberty appare in elegante contrasto con il resto della recinzione in vetro-titanio profilato acciaio satinato dai riflessi violacei.
Mi avvicino all’ingresso alla ricerca del video comunicatore che nonostante la mia insistenza non trovo. Tutto d’un tratto l’inferriata si apre senza il minimo cigolio o rumore rivelandomi l’inizio di un viale segnato da una discreta quantità di cipressi.
M’incammino lungo il ciottolato passando accanto ad alcune fontanelle in pietra dal gusto un po’ retro’ e rimango sorpreso dalla maniacale cura con cui ogni filo d’erba ed ogni sassolino sembrano disposti; eppure l’atmosfera che si respira è di assoluta desolazione.
Dopo un centinaio di metri scorgo quelli che solo in un secondo tempo riconoscerò come potenziali nuclei abitativi: tre enormi parallelepipedi completamente rivestiti con assi di vero legno di quercia (assolutamente raro e costosissimo) senza alcuna apertura visibile, senza pulsanti da sfiorare, niente di niente.
Passo in rassegna i tre strani elementi architettonici quando all’improvviso e con mio grande stupore nella parte centrale dell’edificio di mezzo alcune assi si discostano sovrapponendosi ad altre e ad altre ancora, in parte verso destra e in parte verso sinistra rivelando una superficie di vetro in cui mi trovo “magicamente” riflesso insieme a tutto il parco alle mie spalle…stupefacente!
Mi avvicino ed automaticamente anche la superficie vitrea si divide invitandomi a proseguire.
Provo una sensazione a metà fra lo stupore ed il timore, come quella di un bimbo di fronte al suo primo ologramma.
Appena dentro tutte le aperture si richiudono istantaneamente alle mie spalle e per un attimo sono nel buio più assoluto.
Subito una miriade di lumino piastrelle disposte in maniera disordinata sul pavimento si accendono ma senza rivelare i confini dell’ambiente circostante che rimane indefinito e piuttosto angosciante.
Una voce femminile calda e setosa tipica dei moderni house assistant mi allontana da quel microcosmo emozionale in cui mi ero infilato quasi inconsciamente: “Benvenuto sig. Zildeman, il mio padrone la sta aspettando. Come potrà immaginare il suo trasporter ci ha già informati del motivo del suo ritardo quindi non si preoccupi e non si giustifichi. Segua il percorso illuminato fino all’elemento mobile interno e vi entri, la porterà a destinazione nella sala blu”.
Seguo le istruzioni della voce sensuale.
Entro in una specie di ascensore proprio come quelli che si trovavano nelle palazzine di inizio ‘900, una gabbia di ferro con pareti di rete metallica, solo che questa non è appesa ad alcuna fune ne tantomeno ad ingranaggi o pistoni. Una volta dentro vengo trasportato senza comprendere ne come ne in che direzione e senza avvertire il benché minimo rumore.
Ci fermiamo.
Esco.
Sono sulla soglia di una stanza dalle pareti azzurro cielo lievemente illuminate, pochi elementi d’arredo, per lo più pezzi d’antiquariato, sembra una sorta di galleria d’arte.
Entro.
Non vedo nessuno ad attendermi. Vago per la stanza incuriosito dai mobili. Supero uno scrittoio in noce stile ‘800 e mentre proseguo osservando un Matisse pendente dal soffitto inciampo in qualcosa finendo a terra.
Fortunatamente riesco ad attutire la caduta.
Mi giro per rialzarmi: accanto a me il corpo di un uomo.
Il viso riverso sul cemento, un braccio sotto il busto e l’altro piegato fra le scapole; gambe incrociate in maniera anomala.
La postura di quello che ho subito capito essere un cadavere era del tutto innaturale.
Istintivamente cerco di girare il corpo per vederne il volto e appena lo tocco provo una sensazione orribile: al posto di ossa e muscoli sotto quel vestito pareva esserci una fredda gelatina informe.
Grido inorridito e indietreggio di scatto osservando quel viso gommoso, irriconoscibile, mostruoso! Respiro in modo scomposto e affannoso.
Il mio cardiosensore si attiva cercando di compensare la scarica di pulsazioni che sta aumentando paurosamente.
Mi alzo e cerco di riprendermi urlando: “C’è nessunoooo? C’è nessunoo?”
…Nessuna risposta.
Devo chiamare l’Autorità d’Ordine Pubblico ma…oh merda, ho lasciato il videofono sul trasporter!
Mi avvio verso l’uscita.
Riesco a fare solo pochi passi quando dall’ingresso della sala azzurra vedo sbucare improvvisamente uno dietro l’altro sei personaggi in divisa viola come quelli che avevo visto nella piazza del Duomo. Senza dire una parola due di loro mi prendono per le braccia immobilizzandomi in un angolo mentre gli altri quattro dispongono con precisione e fare meccanici e in punti diversi della sala degli strani strumenti triangolari piazzatisu dei cavalletti.
“Chi siete? Cosa volete da me? Dobbiamo avvertire l’A.O.P., c’è un cadavere per terra non vedete? Alloraaa? Chi cazz… siet… che csa m avte fat…io nn …io nn…”

(continua…)

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